venerdì 30 dicembre 2011

2012: l'anno che verrà...

Tra un giorno è il 2012. Già fiumi d'inchiostro sono stati versati: i Maya non hanno lasciato scritto niente di allegro in merito, o almeno così parrebbe, o non parrebbe secondo esimi scrittori che si sono dilettati sull'argomento; di certo c'è solo che il loro calendario si ferma l'anno prossimo.

Un'altra cosa che però pare sicura è che il 2012 sarà l'anno del dentro o fuori. Da cosa? In realtà, sembra una definizione che va bene per ogni argomento...

Per esempio il 2012 sarà l'anno in cui si capirà se il giornalismo sarà sul serio la mia professione o solo un sogno lungo dieci anni; sarà l'anno in cui capirò se avrò un altro anno in compagnia del mio augusto genitore; sarà l'anno in cui tutti capiremo se l'economia occidentale ce la potrà fare o se tutto ci crollerà addosso.

Come vedi: il 2012, l'anno che verrà, sarà l'anno del dentro o fuori.

Ieri, nella conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio, Mario Monti ha citato un articolo del Wall Street Journal, in cui -ha spiegato il Professore- in sintesi si dice che il destino dell'Europa è legata alle riforme italiane, e il destino dell'America è legato ai progressi dell'Europa: ne deriva che le sorti dell'Occidente, secondo l'importante giornale economico americano, dipendono dall'Italia.

Ma non sarà una responsabilità un pochino troppo grossa, per questo popolo di santi, di navigatori, di poeti, d'inventori, di migratori, di artisti e compagnia cantando con cognati e amici?

Francamente questa responsabilità m'intimorisce: vero è che il popolo italiano ha mantenuto al potere per svariati decenni una classe politica che gli ha concesso di vivere al di soprà delle proprie possibilità, ma non mi pare che ciò sia avvenuto solo in Italia... ma tant'è...

Così il mondo come lo conosco è prossimo alla fine, questo è evidente, e sono consapevole che alla fine ultima non dipenderà solo da me se il prossimo mio mondo mi soddisferà.

Perchè ho la sgradevole sensazione che non dipenderà solo dalla mia bravura e dal mio impegno il mio continuare a scrivere sui giornali; che non dipenderà solo dalla bravura e dall'impegno dei medici per avere altri anni con l'augusto genitore; ma che dall'impegno e dalla bravura degli italiani dipenderà l'economia occidentale (così ci sarà qualcuno da incolpare?).

L'unica cosa che posso fare è viverlo questo nuovo mio mondo, fino in fondo, perchè qualsiasi cosa accada si possa dire che si è fatto il proprio meglio.

Così, è questo il mio augurio per tutti: che con l''anno nuovo si abbia il coraggio di tentare la realizzazione dei i propri sogni. Perchè il 2012 sarà l'anno del dentro o fuori.

lunedì 26 dicembre 2011

Nelle librerie e sulle bancarelle

Le librerie sono posti magici: scaffali pieni e ripieni di ogni libro desiderabile. Sogni, racconti, ricette e storie: l'umanità tutta, in infinite sfaccettature e declinature, rilegate negli scaffali, ormai non più polverosi, ma lindi e pinti dei grandi marchi di distribuzione editoriale. Alcuni hanno anche un angolo bar, dove puoi cominciare a conoscere il giovane libro che ti conquisterà, tanto d'acquistarlo - e chissà, anche amarlo- mentre sorgeseggi qualcosa, magari mentre fuori piove... E non importa se il giovane libro ha in sè un testo antico di millenni: finchè un lettore non lo fa invecchiare tra le sue mani e sotto i suoi occhi, il libro sarà sempre giovane.

L'avrai capito: per me la libreria è come una porta dimensionale per un altro mondo, dove tante voci silenti stanno tutte insieme, mentre le immagini delle copertine fanno da muto megafono. Per comprendere quale sia il discorso giusto per te in quel momento, ci vuole un po di tempo... lasciarsi passeggiare tra gli scaffali che sanno di carta appena stampata, farsi sedurre dal titolo della copertina che ti 'dice qualcosa', aprire il giovane libro a caso e leggere una semplice frase...

In realtà, per me -avrai capito anche questo- comprare un libro è un piccolo rito, che si conclude sì alla cassa, ma che passa anche per i divanetti dell'angolo bar, dove quel giovane libro è già tuo, ma non ancora del tutto. E allora lo sfogli, attento a non rovinarlo, provando l'emozione di essere il primo ad aprirlo: un'emozione che sembra anche essere del giovane libro stesso, oggetto timido, dalla rilegatura che scricchiola un po, e le pagine tese, quasi rigide, nel timore di non essere apprezzate, capite, accettate... infatti puoi sempre riporre il libro nello scaffale del negozio, ma la traccia della lettura, ad un appassionato, non sfugge, così il libro può essere un non venduto...

Ha paura il libro, di scoprire di non essere riuscito a conquistare, acquistandolo, ma quando esci dalla libreria e sul primo bus passante, o nella prima poltrona casalinga che trovi, o sotto le coperte più soffici, il libro, felice di aver trovato casa, si aprirà non più scricchiolante e le pagine non saranno più tese, ma si offriranno dolci e docili alla lettura che sfoglia e spoglia il racconto.

Ma ci sono altri posti magici, forse ancora di più delle librerie: le bancarelle dei libri usati.

Lì i libri vecchi stanno spesso affastellati l'uno sull'altro, a nascondersi a vicenda, quasi litigassero per avere l'attenzione del passante, desiderosi solo di trovare un nuovo lettore, per raccontare ancora la loro storia, risentendosi giovani.

Lì, frugando in quella bancarella, la ricerca è diversa: i prezzi assolutamente invitanti ti fanno acquistare cose che in libreria, per tanti motivi, non sceglieresti... capita -come in libreria- che tu non trovi nulla di paciavole per te, ma capita anche che torni a casa con un piccolo bottino.

Ti siedi sul divano e guardi i nuovi arrivati: spesso le loro pagine ingiallite portano ancora i segni di un lettore gentile, che non piegava le pagine, oppure di un lettore distratto, a cui magari è sfuggito un goccio di caffè sulle pagine... ma sempre in ogni caso, il tentivo di ricostruire la storia del vecchio libro finito su una bancarella ruberà qualche minuto, prima di riporlo in libreria, o sul comodino, per una prossima lettura in notturna. Certe volte capita di trovare libri molto vecchi, anche degli anni '40, con dentro ancora un biglietto del tram... e così come in una perfetta trama cinematografica, quel libro ha attraversato la storia d'Italia recente, magari da essere lui stesso un romanzo nel romanzo... se solo si sapesse, se solo potesse dire... lui timido non lo è più da un pezzo e anzi sfrontatamente offre le sue pagine alla lettura, ma come sia arrivato a te, rimarrà un mistero.

Ma alle volte capita una cosa che incuriosisce ancora di più di un vecchio libro consumato dal tempo e dall'uso: libri posseduti, ma mai letti. E' facile scoprirli: sono libri ancora govani, in ottimo stato, la copertina, rigida o morbida che sia, non ha pieghe strane, ma soprattutto girando il libro, nel prospetto che poggia sullo scaffale, si nota che le pagine non presentano quell'annerimento tipico della lettura, ma sono candide. Fai la prova con un tuo libro letto a metà: guardalo nel suo basso e saprai fin dove hai letto, e se sei bravo, questa guida può farti anche da segnalibro...

Insomma questi poveri vecchi libri per anni hanno atteso in libreria il loro momento, poi, chissà come e perchè, son stati venduti per poche lire a chi ne avrebbe tratto un piccolo guadagno. E spesso e volentieri sono signori libri, ancora 'realmente' giovani, come Io C'ero, di Biagi, o Libeccio di Folco Quilici... All'inizio, quando li vedi sulla bancarella, ti affretti a prenderli, guardandoti intorno, come un ladro che ha visto una facile preda e non vuole farsela rubare da un altro... e già ti chiedi come mai qualcuno possa essersi voluto liberare di libri scritti da chi sa -o sapeva- scrivere veramente bene; ma solo dopo, sul divano ti accorgi relamente del piccolo tesoro conquistato: quei libri usati, o vecchi, non sono, in realtà, nè uno o nè l'altro...

Sono come amici di amici, che in cambio dell'ospitalità, sapranno regalarti momenti d'umana eternità.

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giovedì 22 dicembre 2011

Cristo sta sempre fermo a Eboli

Ricordo che quando cominciai a leggere Cristo si è fermato a Eboli mi colpì principalmente la difficoltà di Carlo Levi nel raggiungere il paesino lucano dove il regime l'aveva confinato. Quando leggevo quelle pagine avrò avuto vent'anni di meno, circa.

Ma che arrivare nel profondo Sud non sia impresa facile l'ho sempre saputo, quasi come un'informazione contenuta nel dna, forse per i racconti di mio padre sulla sua infanzia... e certo avere difficoltà di movimento ci stava nel 1943: il Sud veramente sembrava abbandonato dal dio dell'uomo...

Ora siamo alle soglie del 2012, l'anno che i Maya dicevano sarà l'ultimo, e il profondo Sud è ancora tagliato fuori dal resto del mondo. A meno che tu non scenda in aereo e soprattutto all'arrivo non abbia un'automobile disponibile per tutta la tua permanenza... perchè una volta arrivato dovrai pur spostarti ogni tanto... ma questo è un altro post.

Dunque, per andare in Puglia puoi farlo in pullman, impiegandoci sette ore e arrivare con le gambe rattrappite, oppure andare in automobile, mettendoci più o meno lo stesso tempo, ma con il vantaggio di essere indipendente.

Ma soprattutto c'è il treno. Le magnifiche Ferrovie dello Stato. Pratiche per tanti aspetti e relativamente economiche. All'inizio delle mie calate solitarie pugliesi, dopo aver escluso per esasperazione il pullman e l'aereo era ancora roba da ricchi, non avendo la patente, o volendo fare giusto una toccata e fuga, il treno era la mia certezza. Anche qui, però con alcuni distinguo: con l'avvento dell'Eurostar, infatti, scoprii che non aveva senso pagare il servizio come una tratta che va a Nord.

L'Eurostar, infatti accorciava le distanze in modo considerevole. Ma solo verso Nord. Il mio Roma - Taranto si fermava ben tre volte a Napoli, più altre fermate in posti rinomati quali Ferrandina, Bellamuro e Metaponto, impiegandoci una cosa come -anche- otto ore... senza contare che spesso i treni erano già sporchi alla partenza.

Fu così che ripiegai sul magnifico notturno: cuccetta nello scompartimento solo donne, partenza alle 23, 30, arrivo a Grottaglie (molto più vicino di Taranto) in mattinata: guadagnavo tutta la giornata e risparmiavo. Nei lunghi anni che così mi calavo nel profondo Sud, scoprii tutto un mondo di studenti fuori sede o italici immigrati che affollavano quei treni: eravamo quello che tecnicamente si chiama turismo etnico, che normalmente muove una certa fetta economica nel turismo, tanto che alcune compagnie aree ci basano interi progetti economici, e infatti quei treni erano sempre, dico sempre pieni, ma tant'è....

Dopo alcuni anni in cui finalmente potevo calarmi in automobile, la scorsa estate volevo ancora avvalermi degli splendidi servizi delle FS, avendo solo pochissimi giorni disponibili (andare in auto era quindi solo una strapazzata), ma con vero orrore scopro che il servizio cuccette tutto era stato soppresso: non che io abbia timori di sorta, ma notoriamente quella tratta in notturna è la meno sicura d'Italia, per via dei ladri. Oggi quel treno è direttamente soppresso: se voglio andare da Roma a Grottaglie devo fare il giro della Puglia, se invece voglio andare a Taranto devo fare mezzo giro del Sud: entrambe possono anche essere interessanti come idee, però non funzionali... Per la cronaca: finì che l'estate scorsa non scesi proprio in Puglia (con il pullman non c'erano proprio i tempi).

Fortuna che ora ci sono le low cost, così se vuoi, puoi scendere nel profondo Sud velocemente, sempre che tu, però come già sottolineato, abbia un'auto disponibile.

Detto tutto ciò, per curiosità oggi vado a vedere il sito di Italo, i treni privati Montezemolo: oltre Salerno non scende, per ora.

Insomma, dopo 70 anni, Cristo sta sempre fermo a Eboli.


sabato 3 dicembre 2011

De Mauro: italiani quasi analfabeti

Mentre Langone ipotizza la chiusura delle università per permettere alle italiche donne di tornare ad adempiere al loro mammifero dovere, il linguista Tullio De Mauro, ormai giorni fa, ha lanciato un allarme strano, direi anche stonato, nel suo anacronistico contenuto: solo' il 29% degli italiani è in possesso degli strumenti linguistici per padroneggiare l'uso della lingua italiana', riporta Repubblica.it.

Nello studio presentato da De Mauro sembra essere chiaro che ci sia il rischio di analfabetismo.

Il dizionario Hoepli mi dice che analfabeta significa sì di chi non sa scrivere e leggere, ma dice anche ignorante o illetterato... ma che strana coincidenza.

Ricapitoliamo: Langone vuole chiudere le università, De Mauro dice che gli italiani stanno diventando analfabeti, mentre pochi giorni fa il leghista Buonanno orgoglioso sosteneva le ragioni dell'identità padana 'perchè esiste il grana padano'...

Chiaramente il buon leghista voleva dire che la cultura padana la si ritrova anche nelle tradizioni gastronomiche, talmente radicate nel territorio da esserne carattere distintivo, nonchè rivelatorio della stessa, e quindi da tutelare. Certo però, che detta come l'ha detta lui....

Insomma la cultura è un concetto vario: può significare l'insieme delle tradizioni linguistiche, tradizionali ecc di una popolazione, anche padana, o di un periodo storico, ma è anche l'insieme degli strumenti che permettono a un individuo di formarsi (e di essere libero)...

Ma se questo individuo, per svariati motivi, non sa 'comprendere' la propria lingua, come se la forma la propria identità? se le italiche donne smettessero di studiare (sostenute anche dai deludenti risultati presentati da De Mauro), e ricominciassero a generare figli, che senso avrebbero, ai fini dei ragionamenti di Langone, se fossero italici analfabeti, a vantaggio dell'anglosassone o dell'iberico?

Polemiche post femministe a parte, ma come si fa a non vedere che c'è bisogno ancora di più di scuola e cultura?

giovedì 1 dicembre 2011

Per Langone ho troppi libri

Sono single, non ho figli, ho un titolo di studio universitario, ho questo blog, con in fase di ragionamento un secondo, e una fetta dei miei guadagni viene dalle parole scritte: tutto ciò secondo Camillo Langone, farebbe di me l'antidemografica italiana per eccellenza, da privare di tutti i libri e penne, per essere confinata non in cucina, che pure pure mi potrebbe piacere, ma in camera da letto, che come noto, dopo un po viene a noia...

Ma principiamo: ieri sera, sul far della notte, colui che alimentò per primo la mia 'presunzione' giornalistica, ha postato su Fb un link ad un interessantissimo articolo su LiberoQuotidiano.it: puoi gustartelo qui.

In sintesi tale Langone, dopo aver fatto una attenta e logica spiegazione sulla gravità della nostra italica demografia vicina allo zero, sforna la sua ricetta di sicuro successo: copio e incollo fedelmente:

"Gli studi più recenti denunciano lo stretto legame tra scolarizzazione femminile e declino demografico. La Harvard Kennedy School of Government ha messo nero su bianco che «le donne con più educazione e più competenze sono più facilmente nubili rispetto a donne che non dispongono di quella educazione e di quelle competenze». E il ministro conservatore inglese David Willets, ha avuto il coraggio di far notare che «più istruzione superiore femminile» si traduce in «meno famiglie e meno figli». Il vero fattore fertilizzante è, quindi, la bassa scolarizzazione e se vogliamo riaprire qualche reparto maternità bisognerà risolversi a chiudere qualche facoltà. Così dicono i numeri: non prendetevela con me".

Chiude proprio così: non prendetevela con me che questi sono i numeri. Ma io, sig. Langone me la prendo con lei, perchè avendo avuto la disgrazia di studiare, ho compreso poi con il mio lavoro di parole scritte, che i numeri vanno interpretati, come pure la realtà che ci circonda.

Ma non mi aspetto che mi segua sul terreno filosofico delle statistiche, così rimango con lei sul terreno dello spicciolo e gretto quotidiano.

"Vorrei tanto che la mia bambina avesse un fratellino o una sorellina, ma per quando odio ammetterlo, non abbiamo i soldi per affrontare le spese": ecco cosa mi ha detto appena una decina di giorni fa la mia carissima Erika, madre della piccola Alice di 15 mesi.

Sìsì. Erika è colta, addirittura interprete, e quindi è colpevole di saper fare due conti aritmetici tra addizione delle entrate e sottrazione delle uscite, e quindi di rendersi conto che un altro bimbo purtroppo grava sui bilanci... ma si tranquillizzi Langone: ancora non ha deciso che fare.

Allora se si vuole che le italiche donne ricomincino a sfornare italica prole che possa andare fiera della propria identità (perchè è questo il problema profondo, vero? il terrore genetico e inconscio di scomparire di fronte a culture altre da noi), la soluzione sarebbe quella di realizzare tutte quelle strutture e quei sostegni alle famiglie che l'attuale contingenza economica sembra rendere pura follia. Non è chiudendo le facoltà universitarie che si risolve, ma mettendo le donne in condizioni di non fare scelte sulla base del reddito, mettendole in condizioni di essere veramente libere di crearsi una famiglia, e senza esserne schiave.

Perchè sig. Langone, la cultura rende liberi. E la libertà non è prerogativa di genere sessuale.

Se poi le pochissime donne che svolgono ruoli rilevanti all'interno della società civile, aiutassero il genere femminile a farsi strada senza diventare 'stronza come un uomo', per dirla alla Vecchioni, questo aiuterebbe molto tutti.