mercoledì 24 aprile 2013

C'era una Volta il Bel Paese più Pulito del Reame


C’era una volta, non molto tempo fa, in un Bel Paese non molto lontano da qua, il club dei governatori sporchi. Infatti il Bel Paese, abitato soprattutto da persone garbate e sempre pulite, era ahimè governato da sporcaccioni. Macchie enorme di olio, sugo, e quant’altro frutto del magna magna giornaliero, tutti i giorni, da tanti anni.

Gli abitanti del Bel Paese, ad un certo punto, smisero persino d’indignarsi di tanto sudiciume, e quando incontravano i cittadini dei paesi vicini, potevano solo timidamente minimizzare o cercare di spiegare come inutili e nel vuoto cadessero i tentativi di far capire agli sporcaccioni, quanto fosse disdicevole per il Bel Paese il loro ignorare le basilari norme di pulizia. Ma molti altri, invece, cominciarono a pensare che fosse di gran moda andare in giro sporchi, sicché c’era una gran fetta di cittadini comuni sporchi.

C’era, però una Sora Comare , che silente si guardava in giro, che orgogliosamente stendeva i suoi panni canditi al sole e taceva, in attesa di tempi migliori. Un bel giorno la sua vicina di casa, Sora Prima Stella, cominciò a gridare allo scandalo, aizzando i puliti cittadini a pretendere che il club dei governatori sporchi andasse a casa. Non si accontentava di vederli puliti, voleva persone nuove, indiscutibilmente linde e pinte a governare il Bel Paese.

Sora Comare, annuiva contenta. Ma a un certo punto cominciò a rimanere perplessa: Sora Prima Stella non faceva altro che dire quanto fosse la più pulita del reame e come non avrebbe tollerato persone poco pulite vicino a lei. Tutto il decalogo di pulizia venne messo in piazza, ma su alcuni punti sembrava rimanere poco chiara. Allora, durante un caffè pomeridiano, Sora Comare cominciò a mettere in guardia Sora Prima Stella.
Ma lei non volle ascoltare, dicendosi convinta che il suo metodo di pulizia fosse il migliore e la questione ormai, non era neanche più uscire di casa puliti, ma essere più puliti che più puliti non si può, perché grazie alle sue regole è possibile essere i più puliti del reame.

Sora Comare, scrollava la testa chiedendosi come fosse possibile con tutti i bimbi piccoli che Sora Prima Stella allevava, lei e la prole potessero essere sempre così puliti, come andava ripetendo… Poi infatti un giorno avvenne l‘inevitabile: un pargolo di Sora Prima Stelle andò in giro con una vistosa macchia di pomodoro sul petto. Tuoni fulmini e saette dal Club degli sporcaccioni, ma soprattutto tanta perplessità dalle persone pulite comuni, che non capivano. Sora Prima Stella era mortificata, non dalle macchie del pargolo, ma dagli anatemi dei paesani: “invidiosi, ecco cosa siete” si difendeva, ma rimase molto male quando anche Sora Comare non la sostenne più. Tristemente gli chiese spiegazioni:

“Vedi, cara Sora Pima Stella, tu sei stata brava a voler cambiare il mal costume che tanto ci umiliava, ma sei stata presuntuosa, annunciando che mai te o i tuoi pargoli sareste stati sporchi, affermando che il tuo bucato sarebbe stato il più bianco di tutti, senza dare veramente spiegazioni sul come avresti fatto, facendo vedere solo la lavatrice, ma evitando d’insegnare agli sporcaccioni colpevoli di tutte le nostre vergogne, o ai nostri compaesani, quale programma usare e come dosare il detersivo. Per questo non ti si perdona nessun errore. Se non volevi che ti si facessero le pulci, che s’inventassero ingiurie contro di te e i tuoi pargoli, bastava imporsi con più umiltà, senza dichiarare cose impossibili da mantenere: a noi bastava essere governati da persone pulite, non dai più puliti del reame” .

domenica 21 aprile 2013

Dal Sichuan a Shanghai

Dal Sichuan a Shanghai, una settimana, tra le montagne del Minshan, la gente serena di Chengdu, la malinconia dei tibetani ed i grattacieli di Shanghai, passando per la tenerezza dei Panda Giganti.... Fatico ancora a rimettere insieme i pezzi di questo viaggio, molto bello, ma in cui più di una volta ho faticato 'ad entrare'.

Inizialmente il jet lag mi ha avvolto nella solita bolla di confusione che mi capita dopo lunghi viaggi, ed in questo avevo anche un bel po di mal di terra... ma la vivacità di Chengdu, la spensieratezza dei cinesini nel loro People's Park mentre fanno ginnastica, cantano o scrivono poesie con l'acqua sul selciato mi hanno letteralmente conquistato. Come pure la tenerezza infinita dei Panda Giganti, nel vicino centro ricerca, mi hanno strappato sorrisi inaspettati, nonostante la pioggia e le mie incertezze fotografiche.

Sì perché in questo viaggio ho inaugurato la mia Eos 650 D, talmente nuova per me che all'inizio avevo una vera e propria soggezione con tanto di ansia da prestazione: eccomi così ad avvicinarmi timidamente ad Andrea, il fotografo ufficiale, a chiedere come cambiare qualche impostazione, oppure arrivare al fianco di Claudiana, con cui la confidenza s'è via via fatta più sciolta, tanto da dirle sfacciatamente: 'mi aiuti che ho pasticciato con gli iso?' Ad ogni modo qualche fotina bella, posso orgogliosamente dire, l'ho fatta.

Ma a Jiuzhagou ho ricominciato a non sentirmi del tutto in sintonia col posto, che pure era eccezionale: terra di etnia tibetane, bandierine votive ovunque, la neve che cadeva e uno dei più bei hotel Intercontinel dove poter soggiornare, eppure... un freddo, ma un freddo signori miei, che non ci sono parole. Purtroppo siamo arrivati tutti impreparati a gelo montano e i pile (o pail?) acquistati last minute al Decathlon di Chengdu hanno attutito poco: è usanza locale di non usare i riscaldamenti nei monumentali (come tutto in Cina) spazi comuni degli hotel, per motivi di risparmio energetico, sicché puoi stare all'Intercontinental, allo Sheraton o in un albergo 'cinese', che ti gelerai sempre se non ben equipaggiato...

La giornata trascorsa nel Jiuzhaigou National Park fortunatamente è passata al tepore primaverile, ma il giorno dopo, nel parco di Huanglong, sotto una leggera, ma insistente, nevicata, sarei assiderata se in un hotel non ci avessero prestato giacche adatte... ho così potuto godermi un'intensa passeggiata di 8 km nel bosco innevato, tra scoiattolini che attraversavano e guardia boschi tibetani canterini....

Dai boschi dei Jiuzhaigou siamo infine volati a Shanghai, dove il mio spaesamento si è rimaterializzato: le metropoli non sono per me. Ma non troppo lontano, a circa una settantina di km c'è un piccolo villaggio di pescatori su dei canali, Fengjing.

La giornata trascorsa nel Jiuzhaigou National Park fortunatamente è passata al tepore primaverile, ma il giorno dopo, nel parco di Huanglong, sotto una leggera, ma insistente, nevicata, sarei assiderata se in un hotel non ci avessero prestato giacche adatte... ho così potuto godermi un'intensa passeggiata di 8 km nel bosco innevato, tra scoiattolini che attraversavano e guardia boschi tibetani canterini....

Dai boschi dei Jiuzhaigou siamo infine volati a Shanghai, dove il mio spaesamento si è rimaterializzato: le metropoli non sono per me. Ma non troppo lontano, a circa una settantina di km c'è un piccolo villaggio di pescatori su dei canali, Fengjing.
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Post correlati:
- Tre giorni a Shanghai
- Jiuzhaiguo, l'Anticamera del Tibet
- I Panda Giganti di Chengdu 

sabato 20 aprile 2013

Tre Giorni a Shanghai

Momento clou dei miei tre gironi a Shangahi: con Claudiana nella metropolitana cittadina. E' andata così: dopo una rapida passeggiata su Via Nanchino, la shopping street per eccellenza, spinte dall'Alessio accompagnatore ufficiale dall'Italia, abbiamo deciso di provare l'esperienza della metropolitana cinese. Così,
dalla superficie di People's Square, io e lei siamo sprofondate in una piazza sotterranea percorsa da un formicaio di cinesini, che andavano e venivano. Le nostre uniche certezze: che il biglietto costa 3 yuan, che dovevamo prendere la linea rossa e scendere a Shaanxi. In teoria avevamo tutte le info essenziali, ma lo spaesamento fa novanta e ci siamo trovate destabilizzate. Primo ostacolo: le macchinette per i biglietti non prendono banconote, ma l'unico luogo dove cambiare in monete è l'efficientissimo tourist office, che campeggia nel centro dello snodo. Nota bene: lo sportello è aperto sia sulla parte dei tornelli, sia 'dentro' la metro. Infatti, secondo ostacolo, ci siamo dovute rivolgere nuovamente l'office per capire esattamente dove dovevamo andare: la corrispondenza tra le nostre indicazioni e il nome inglese della fermata non coincidevano chiaramente. Terzo ostacolo: in che direzione andare? rispondendo a questo quesito abbiamo sfiorato il comico: minuti a cercare di decifrare la cartina, inutili tentavi di richieste in inglese a cinesi che non ci capivano: poi è bastato alzare lo sguardo sui binari per trovare la griglia di marcia. Tutto sommato molto facile e tanto divertente.

Ma andiamo con ordine. Shanghai è una città particolare, che a seconda delle tue personalissime corde, o ti avvolge o ti ascia nel suo margine superficiale. Io ci ho messo almeno un giorno e mezzo, dei tre a disposizione, per trovare la mia 'misura'.

Nel primissimo percorso che ci ha portato dall'aeroporto al centro di Shanghai, tutti guardavano affascinati e ammirati dai finestrini. Un coro di 'ohh', 'ma che spettacolo', 'che meraviglia', mentre io sbirciavo perplessa: una distesa di cemento orizzontale e soprattutto verticale, sotto un cielo grigetto contaminato di azzurrino... Per non parlare poi dello sbatacchiarci come pacchi da un posto all'altro, passando per ristoranti di qualità incommentabile: Shanghai non mi stava piacendo, unica nel mio gruppo di entusiasti scattavo poche fotografie annoiate. Neanche il Tempio del Budda di Giada mi emozionava: soffocato tra i grattacieli, popolato di turisti e fedeli, con monaci perplessi più di me.

Solo il giorno dopo l'arrivo, nel Giardino del Mandarino Yu, ho cominciato a capire che forse Shanghai meritava che la guadassi con occhi più amorevoli: ero dentro una delizia della Dinastia Ming, tra giardini, laghetti e tetti arricciati con draghi ruggenti, mentre i muri di cinta mi ricordavano Gaudì...

Poi il colpo di scena: l'ammutinamento alimentare ci ha procurato un'enorme ed insperata, quando gradita, quantità di tempo libero a disposizione. 'Liberi tutti in Cina' è diventato il paradossale slogan con cui abbiamo cominciato a sparpagliarci per la città, vivendocela su misura, per quel poco tempo che avevamo, facendo salvi alcuni appuntamenti per visite come da programma.

Così, eccoci, io e Claudiana, a passeggiare sul Bund, il lungo fiume sul versante coloniale ed elegante di Shanghai all'ombra dei grattacieli che svettano sull'altro lato del Huangpu, tra cui lei, la Torre della Televisione, la perla di Shangahi con i suoi 490 m, mentre asiatici divertiti fotografavano i nostri lineamenti occidentali... ma sicuramente il Bund lo si gode maggiormente al buio della sera, quando lo Skyline di Shanghai si illumina di un tripudio di luci cangianti, che fino alle 22 animano i grattacieli per lo stupore e la meraviglia di tutti. Anche mia. Ma forse è nell'area pedonale di Xintian Di, con i suoi localini per tutti i gusti, dal jazz alla birra alla spina, passando per l'immancabile pizza e sala da the, che turisti e shanghanesi 'bene' se la spassano la sera. Pure noi non abbiamo disdegnato, anche perché ci arrivavamo con una passeggiata di mezzoretta dal nostro hotel.

E proprio a Xintian Di si capisce come Shanghai sia città estremamente modaiola, con un suo carattere di stili molto forte: bellissime donne orientali arrampicate su tacchi vertiginosi, vestite con capi di gran classe, ma sopratutto originali, che parlano della ricerca di uno stile personale. Uno stile non difficile da costruire: mille e oltre negozi di griffe europee e non solo, tra le strade del centro, mentre deliziose boutique colorano le deliziose e classiche vie del quartiere del'ex concessione francese.Un quartiere in cui io e Claudiana ci siamo letteralmente perse, sbucate dalla metro. Senza cartina, a giornalai e poliziotti abbiamo chiesto del nostro hotel, al centro del quartiere francese. Claudiana era decisa a darsi allo shopping semi selvaggio, ma la troppa scelta di cose sfiziose l'ha messa in difficoltà... l'offerta è veramente, veramente ampia.

Una scelta ampia anche e soprattutto per il falso: tanti i fake market. Noi siamo andati in uno non lontano da Via Nanchino: quattro piani in cui l'offerta va dalle scarpe agli occhiali da vista (pronti con le lenti in pochissimo tempo, ad averlo saputo prima...), passando per penne ai vestiti, finendo nelle classiche borse, croce e delizia di ogni donna.

Morale del racconto: Shanghai è da visitare con calma, seguendo il filo dei propri gusti personali, ma soprattutto con un'ottima guida gastronomica in borsa!

giovedì 18 aprile 2013

Jiuzhaigou, l'Anticamera del Tibet

Montagne, laghi, neve e tibetani: la Valle di Jiuzhaigou, in Sichuan, già sito Unesco, è l'anticamera del Tibet. In tutti i sensi.

Quando siamo arrivati, col benvenuto di una fitta nevicata (che nei giorni successivi ci ha accompagnato a tratti), ho subito cominciato a cercare i segni delle etnie tibetane che vivono qui e là nei villaggi della valle, tra le montagne meridionali della catena Minshan... e subito li ho trovati. Bandierine votive stese al vento freddo, file di rulli di preghiera in attesa di essere girati, templi con candeline ed incensi: splendido, intenso ed emozionante... eppure sembrava che qualcosa non fosse al suo posto.

 
Ed era un qualcosa che pareva diffuso come un impercettibile profumo nella frizzante aria dei 3 mila metri sui cui andavamo avanti e indietro, salendo e scendendo dal pulmino che ci portava a zonzo nel Jiuzhaigou National Park, alla scoperta di incredibili laghi incantati. Sì, perché se la stagione primaverile fosse stata inoltrata, o fosse stato autunno o la neve ormai sciolta avesse imbiancato tutto, gli scenari sarebbero stati veramente da levare il fiato, da favola: laghi cristallini, in cui pesciolini nuotano tra tronchi ormai affogati, mentre non capisci come sia possibile che l'acqua abbia i colori del più bel mare dei Caraibi... Ogni lago è un piccolo mondo acquatico fatto di verde smeraldo e veronese, in cui la luce gioca a mille riflessi baciando lo specchio d'acqua e la poesia del posto è così intensa, che dimentichi che c'è qualcosa non al suo posto... Ma quando la giornata d'escursione è quasi finita, con tempo libero in un villaggio tibetano del parco, cominci a capire ciò che prima non tornava...

Girando tra i negozietti trovi le solite cose: mille e mille ninnoli, tracce della cultura tibetana solo nei rulli di preghiera ad uso e consumo dei turisti, e tante persone con la smania di venderti qualche cianfrusaglia, a volte insistenti fino all'imbarazzo... poi improvvisamente noti in vendita i piccoli rulli di preghiera 'da passeggio': ne prendi in mano uno e scopri che è di plastica. Uno degli oggetti di preghiera del buddismo tibetano alla stregua di un giocattolo.

Alzi gli occhi verso il primo tibetano che ti passa vicino e pare avere uno sguardo spento. Forse è un caso. Forse è una coincidenza che anche tutti gli altri sembrino tristi. Forse è suggestione quando anche i monaci sembrano avere indosso un altro mantello di rassegnata malinconia... 

Jiuzhaigou significa 'valle dei nove villaggi', tibetani:  ma dal 1997, quando il parco è stato aperto, la popolazione tibetana che ci vive non può coltivare la terra, quindi vive di sussidi statali e di turismo.

Eppure è come se il clima così rigido avesse temprato i tibetani alla resistenza e alla pazienza: incontrarli è comunque un'esperienza intensa. Come intensa è la terra del Jiuzhaigou, per la potenza della natura, lo splendore delle camminate tra i boschi di Huanglong -altro parco della zona- sotto piccoli fiocchi, a sentir i canti dei guardia boschi tibetani, incontrando i loro sguardi malinconici. 

mercoledì 17 aprile 2013

I Panda Giganti di Chengdu

Sarà per quelle macchie nere, per quel pelo spesso che ispira morbidezza, oppure perché così grandi, un po goffi e maldestri, ma i Panda Giganti sono irresistibilmente teneri e ancora più coccolosi di come li vediamo nei documentari. Se poi ti capita di vedere un cucciolo, allora fatichi a rimanere ligiamente dietro la staccionata...

I Panda Giganti li ho visti da vicino a Chengdu, capitale della provincia cinese del Sichuan, nel loro centro di ricerca, quello, per intenderci, recentemente diventato famoso per aver fatto vedere un 'film porno' a una pandina inesperta.

Non starò qui a ripetere come siano pochi, bisognosi di un habitat particolare e della loro stranota difficoltà a riprodursi, cose che nel centro sono illustrate molto bene, ma piuttosto dell'esperienza curiosa che è vederli, cosa che nessun documentario può trasmettere.

Sì perchè se ne stanno lì, tranquilli e paciosi, a rosicchiare i loro bastoncini di bambù, a sonnecchiare oppure a giocare tra di loro, apparentemente indifferenti ai visitatori che li osservano e li fotografano emozionati, consapevoli della rarità dello spettacolo. Per non parlare delle scolaresche di chiassosi bimbi cinesi, spettacolo nello spettacolo, che cercano di attirare l'attenzione di uno degli orsacchiotti.

Particolarmente divertente è intercettare uno dei Panda Giganti intenti ad arrampicarsi su una staccionata o una piattaforma: movimenti lenti e goffi che ricordano i bradipi, quando poi riescono a mettersi nella posizione desiderata, ti vien voglia di fargli un applauso, rimanendo un po deluso se per caso la posizione in questione contempla il darti le spalle...

Ma sempre, ogni volta che i bimbi si allontanano e rimane il silenzio del parco nel centro ricerca, sentendo solo il vento tra le foglie, il cinguettio degli uccellini, oppure lo scricchiolio delle foglie secche sotto il peso dei loro passi, ti viene una gran voglia di metterti a 'pandare' insieme a loro, senza tornare nella civiltà.