giovedì 30 dicembre 2010

La resa delle cuffie

Dopo quasi un anno e mezzo, oggi il mio tempo al call center è finito.
Con immenso sollievo, oserei anche aggiungere: per fortuna pare, sembra, che le parole scritte possano permettermi di mantermi nella mia vita...
In realtà queste esperienza mi ha dato molto: per tutto questo tempo non solo ho potuto continuare a viaggiare e a seguire le mie cose, ma quando ero lì, tutto sommato facevo un po il cavolo che mi pareva. Luogo anomalo quel call center, in cui i team leader non ci stressavano troppo, anzi assolutmanete per nulla, sicchè spessissimo i miei pomeriggi lì -soprattutto in estate-, si trasformavano in allegri salotti con le amiche.
Le amiche: sarò infatti sempre grata a quel posto per aver portato nella mia vita persone speciali: Nadia, le cui risate all'ultima fila -tipo ultimo banco scolastisco- saranno ricordate a lungo; Giulia, con cui ci siamo fumate tutte le sigarette possibili, tra un sogno di fuga dal call center e la dura realtà; Donatella, che ci dispensava nozioni e consigli astrologici e l'aristocratica Federica con il suo sogno di lasciare l'Italia, che presto si avvererà.
E se anche il lavoro era monotono, avvilente ed esasperante, e pure ho incontrato persone ambigue, che ancora non riesco a codificare nel loro atteggiamento, oggi si è chiusa un'epoca, che è stata comunque bella.

martedì 28 dicembre 2010

Femminilità negata

"Come tutti gli uomini che si trovavano di fronte una donna che rifiutava di sottostare alle convenzioni sociali e alle formalità, probabilmente il cameriere doveva giudicarla una stronza".*


Questa frase mi è capitata sotto gli occhi ieri sera, e mi ha riportato ad accese discussioni intavolate con due dotti esponenti del mondo maschile, tenutesi qualche giorno fa...

Discussioni sul tenore "l'uomo viene da marte e le donne da venere", e sulla arcaica convinzione maschile, che una donna per essere tale -e quindi da intrigarli in una storia seria-, deve essere quanto meno angelicata, tipo Laura e Beatrice...


Sono passati cinquantanni dal femminismo, possiamo vestirci come vogliamo -possibilmente nei limiti del decoro e del buon senso-, possiamo avere la vita sessuale che vogliamo... però, ciò nonostante ancora devi sentire discorsi del tipo: "con la mia compagna questo non lo faccio, perchè sono cose che si fanno con una di passaggio, a cui non vuoi bene", oppure -con mio orrore crescente-, "se lei ha avuto più di 5 o 6 relazioni, non riesco a considerarla per una storia seria".


Così donne che rifiutano convenzioni sociali e formalità, sono veramente ancora mal considerate. Probabilmente io in queste discussioni ho fatto la scoperta dell'acqua calda, però comunque sono arrivata alla conclusione che quando hai a che fare con gli uomini, devi ancora negare una parte del tuo essere donna e femmina, pena l'impossibilità di costruire una relazione durevole.


Allora, mi chiedo anche provocatoriamente, che differenza passa tra le donne musulmane sotto il niqab e noi occidentalmente svestite: non è sempre femminilità negata?



* "Lipstick Juungle", Candace Bushnell, autrice di "Sex and the city"
.

giovedì 16 dicembre 2010

Lamu e l'incomprensione occidentale

"Se non dimentichi mai le tue radici Rispetti anche quelle dei paesi lontani Se non scordi mai da dove vieni Dai più valore alla tua cultura Siamo salentini, cittadini del mondo Radicati ai Messapi, con Greci e Bizantini Uniti in questo stile con i jamaicani Dimmelo da dov’è che vieni"*


Questo ho sempre pensato, cercando di comportarmi di conseguenza. Sempre cercando di non giudicare lo straniero in Italia, nè le culture che andavo a incontrare nei viaggi. E di cose strane ne ho viste, soprattutto in Egitto. Ma mai, mai ero stranita. E siccome mai dire mai, è arrivata anche l'eccezione che conferma la regola.

Gli ultimi due giorni del viaggio in Kenya, prevedevano due giorni all'isola di Lamu, in cui si professa l'Islam. Se vedi le foto pensi che sia un posto incredibilmente bello. E lo è. A modo suo lo è. Ma anche qui ho pagato pegno per la mia ignoranza sulla destinazione, rimanendo inorridita dai pipistrelli con cui dividevo la capanna di lusso in cui dormivo, perennemente in tensione per le potenziali zanzare malariche.
L'escursione alla cittadina, che dal mare sembrava deliziosa, con la commistione tra architettura mediorentale ed africana, è stata un incubo, una visita in un girone dantesco dei dannati. Neanche la visita al villaggio Masai, le cui capanne son tirate su con sterco e fango, mi hanno stranita così tanto.

Già dal molo l'insopportabile puzzo d'escrementi umani ti assaliva alla gola, stringendoti in un cappio soffocante. La città s è mostrata con strade sporche all'inverosimile, disseminata di sterco d'asino, unico mezzo di trasporto locale. Fogne a cielo aperto scorrevano in stretti canali ai lati delle strette strade. Uomini cenciosi nulla facenti seduti sui muretti. Incredibilmente l'unico segno di dignità erano le donne velate.
Ho cercato di resistere il più possibile, concentrandomi sulle architetture ed i preziosi portali in legno elegantemente cesellati, con decorazioni degne del più bel fregio greco... ma vedere un bimba di neanche due anni, ciondolante sulle sue gambette valghe fino all'impossibile... ecco, quello no, non l' ho potuto sopportare. L'unico pensiero era scappare da quel posto incomprensibile per il mio occidentale senso igienico. Al ritorno nel resort anche i pipistrelli mi sembravano meglio.

Ma sotto il cielo notturno più bello che abbia mai visto, dove la via lattea attraversa tutta la volta celeste e le stelle cadono come se piovesse, tutte le prospettive si sono stravolte, ricomponendosi in una nuovo paesaggio, una nuova direzione, in cui la voglia di scappare dall'isola si tramutava nell'impossibile desiderio di rimanere lì, di tornare alla cittadina -magari con scarpe chiuse e non con gli infradito, questo sì-, di vivere quello che per preconcetto non avevo vissuto.

Non capirò mai come uomini dotati di testa pensante possano preferire rimanere a non far nulla, piuttosto che pulire la loro città, che se avesse le vie pulite, le fogne coperte, i muri tinteggiati anche a calce, sarebbe qualcosa di eccezionalmente bello. Però... ho ricordato che nel museo c'era una foto di un uomo di fronte ad una struttura circolare, con tetto a cono tondeggiante, sullo sfondo un edificio basso e rettangolare, e subito ad una cosa pensai chiamando Anna Lisa l'osservatrice silenziosa, amante della mia Puglia, che ha commentato: "Oddio, un pagghiaro!", "Sì e dietro sembra una masseria".

Peccato non averlo realmente compreso prima.

"Se non dimentichi mai le tue radici Rispetti anche quelle dei paesi lontani Se non scordi mai da dove nieni Dai più valore alla tua cultura Siamo Salentini, cittadini del mondo Radicadi con i Messapi i Greci e i Bizzantini Uniti in questo stile con i Jamaicani Dimmelo da dov'è che vieni".

*Se nu te scierri mai delle radici ca tieni
rispetti puru quiddre delli paisi lontani!
Se nu te scierri mai de du ede ca ieni
dai chiu valore alla cultura ca tieni!
Simu salentini dellu munnu cittadini,
radicati alli messapi cu li greci e bizantini,
uniti intra stu stile osce cu li giammaicani,
dimme mo de du ede ca sta bieni!

Le radici ca tieni, Sud Saund Sistem

.

mercoledì 15 dicembre 2010

Mal d'Africa

Ogni volta che parto non mi documento sulla destinazione: amo lasciarmi stupire da ciò che vedrò. Ma se vai in in Africa, quella profonda, non puoi farlo, ed io ho pagato pegno con notti insonni. Poi però tutto diventa normale, nell'ordine naturale della Terra Madre.

L'uomo del kenya, Ferruccio, mi aveva avvertito che mi sarei stranita, cercando di spiegarmi a cosa andavo incontro. Ma non è bastato: la prima notte nella tenda di lusso nel cuore del Masai Mara l'ho passata a sentire i leoni che ruggivano, i primati che urlavano ed altri animali zompettarmi sul tetto, oltre al timore che qualcuno potesse tirare la lampo della tenda ed entrare. In pratica ho avuto paura. Quella paura totalizzante, per cui hai l'assurda convinzione che muovi un muscolo si scatena il finimondo... Ma le notti successive il timore si è trasformato in fascino, svegliandomi nel buio pesto della notte proprio per ascoltare la vita notturna della savana: la tenda era diventata un luogo privilegiato. Il mio, luogo privilegiato.

Le mattine, ubriaca di sonno, cominciavano con il safari delle 6.30. La savana lentamente si svegliava: gazzelle, gnu e zebre in ogni angolo a brucare, mentre da dietro un cespuglio sbucavano le giraffe, splendite, eleganti e leggere. Poi la guida prendeva il binocolo, guardava e ti portava a vedere le leonesse. Ma anche a loro non ero preparata, nè ad osservarle da vicino. Immagina dunque il mio stranimento quando l'autista ha portato la jeep dentro un branco di leonesse. Ora, questa land rover era aperta, con solo dei roll bar a protezione, sicchè le belve potevano saltare dentro. E poco m'importava il don't worry dell'autista, e le spiegazioni di Marta viaggiante che i leoni ci percepiscono come un grosso animale, a patto e condizione che stai tranquillo, seduto e soprattutto non scendi: io vedevo sempre la leonessa saltare dentro la jeep, e continuavo a chiedere di non stare così vicino, ma l'autista proseguiva ad avanzare, fermandosi poi sulla riva del fiume, indicandolo giulivo come il Mara River: credo stia ancora chiedendosi che significa il mio "e sti cazzi". La tranquillità dell'autista e di Marta viaggiante, oltre che di Simona la mia salvatrice, era dovuta non solo all'esperienza, ma anche al fatto che i leoni avevano mangiato: una di loro ancora bancettava di uno gnu. Inutile descrivere la perplessità mia, di Elisa l'organizzatrice e di Annalisa l'osservatrice silenziosa....
Ad un tratto silenziosamente osserviamo che sulla sponda opposta incauto si avvicinava uno gnu. Muscoli felini a tendersi, ruggiti sommessi, scatto pronto: il povero gnu dopo un tentennamento attraversa il fiume, e finisce in bocca alla leonessa. Un attimo, un momento, e l'animale è assaltato dal branco che lo stendono spezzandogli il collo, senza fretta, però. Brutale, feroce ed implacabile, questo è stato, ma inevitabile e nell'ordine naturale delle cose. Non mi sono scomposta, nè dispiaciuta per il povero animale: neutrale spettatrice capivo che così è, semplicemente. Inoltre mi sosteneva la consapevolezza che in savana nulla va perduto, ed una vita stroncata non è persa mai, perchè di sotegno ad altre vite.

Sì, i felini sono la cosa più spettacolare della savana. Come i ghepardi, splendidi miciotti che osservavamo mentre marcavano il territorio, si facevano le unghie sugli alberi e coprivano i loro bisogni. Poi uno di loro si avvicina alla jeep, l'annusa, l'aggira e poi scambia un lungo ed intenso sguardo con me, che ora invece sto lì serena, tranquilla, senza paura... ma solo quando si è allontanato ho capito di aver guardato negli occhi una belva, e che quello sguardo rimarrà inciso nell'anima dei miei ricordi.

Terra di contrasti il Kenya, con i Masai che vivono in capanne di sterco e fango, ma vanno in giro con fuori strada da oltre 50 mila euro e cellulare. Terra dove ti perdi ed i tuoi punti di riferimento si dissolvono con il primo sole che esce dopo cinque giorni di pioggia...
La pioggia è stata la nostra vera dannazione: fuori stagione ci faceva compagnia la notte e nelle prime ore della mattina, ma un pomeriggio si è abbattuta su di noi senza pietà, con la copertura stesa grossolamente da cui filtrava l'acqua: pomeriggio trascorso a spiegare le ricette tradizionali della mia Puglia, ai terroni del nord compagni di viaggio, mentre tornavamo alla casa tendata.

Terroni del nord: i miei compagni di viaggio venivano tutti da lì, e sono stata fortunata: sono stata bene con tutti, anche con Alessandro il reazionario, a cui più di una volta avrei spaccato la sedia in testa. A Simona la mia salvatrice, devo la maglia a maniche corte, mentre rischiavo l'evaporazione nell'unico giorno in cui ero rassegnata alle nuvole e invece è uscito un fortissimo sole, e la crema che ha stroncato l'insorgere di un inconsueto herpes sul labbro. Indimeticabile la chiaccherata con Annalisa l'osservatrice silenziosa, in veranda a fumare, mentre sotto scorreva il fiume. Dolcissima Elisa l'organizzatrice, che ha dato il massimo per darci il meglio. Divertentissima Marta viaggiante, con i suoi racconti dei mille viaggi fatti. E Ferruccio l'uomo del Kenya, che paziente mi spiegava il Masai Mara e cosa avrei visto, perplesso da come una giornalista partisse per un viaggio ignara di tutto... insieme abbiamo trascorso dieci giorni, condividendo emozioni ed esperienze comunque forti.

Il mal d'Africa è arrivato, e la nostalgia è anche per loro.






martedì 14 dicembre 2010

Un giorno a Sana'a


"Nessuno di noi salirebbe mai su un taxi che va di retro marcia in una rotatoria del centro di Milano, guidato da un drogato e con lo sportello laterale aperto, a mezzanotte. Soprattutto senza avere con sé i propri documenti. Eppure lo stiamo facendo a Sana'a. In Yemen".

La situazione assurda e paradossale, nonchè assolutamente ilare, così fu sintetizzata da Ferruccio, l'uomo del Kenya, rendendosi conto che con altri sei incoscienti italici viaggiatori stava vivendo la vera Sana'a.

Tutto cominciò da un invito di Yemenia Airways per andare in Kenya, con relativo ed interessante stop over in questa incredibile città... ma...

Arrivati gli italici viaggiatori si aggiravano sconsolati ed ignoranti -nonchè ignorati- su cosa e come fare, stupiti e divertiti di trovare un cinese che pure girava sconsolato ed ignorante, ma solo e reietto, cercando di capire come uscire da quell'improbabile scalo. Ad un certo punto agli italici furono trattenuti i passaporti come prassi comune per chi entra senza visto, senza però rilasciare un qualsivoglia foglietto che legittimava la loro presenza lì, e soprattutto senza attestare che i preziosissimi documenti sarebbero stati resi... ma tant'è, quando si è in ballo si balla la musica che suona, così ecco gli italici viaggiatori alla mercè di un tizio sconosciuto che li prende in consegna. Al seguito avevano il povero cinese a cui la porta del nostro pulmino fu allegramente sbattuta in faccia, perchè il suo hotel non era quello degli italici viaggiatori. Si narra che stia ancora aggirandosi per l'aeroporto.

Vagamente rasserenati, i nostri furono ben presto abbandonati dall'accompagnatore, che scense lungo la via, lasciandoli soli con l'autista. Soli, in terra yemenita, senza sapere il nome dell'hotel, e senza -ovviamente- i documenti. Ma i timori furono presto fugati: il pulmino imboccò uno splendido vialetto buio e sporco, in piena periferia, per lasciarli nello splendido resort dello Sky Home, dove approdarono ben oltre l'ora di cena. Tant'è che evidentemente, chi aveva organizzato, aveva pensato di tenerli a salutare digiuno: a letto senza cena, colpevoli di chissà quale marachella.... ma agli italici viaggiatori togli tutto tranne da mangiare, così decisero di andare a procurarsi cibo nelle vie attigue. Ma prima bisogna appropriarsi delle suite a loro riservate. Splendide camere, con vista su simil discarica, sporche come mai s'era visto in anni di viaggi. Molti di loro si lavarono solo in terra kenyota. Sempre più sconsolati gli italici viaggiatori scortati da una guardia di servizio assaltarono un piccolo negozietto di merendine, da cui uscirono sicuramente coglionati sul costo complessivo, ma carichi succhi di frutta, acqua, merendine, tuc, cornetti e utide udite, la mitica ed inimitabile Nutella. La lauta cena fu così consumata nel ricco ristorante dello splendido resort dello Sky Home. A pancia relativamente piena andarono a dormire, mettendosi a letto vestiti, non solo per le lenzuola già usate, ma per il freddo pungente. Il giorno propose una delle colazioni più squallide mai servite, con il the in bicchieri di plastica.

Questo è stato l'impatto avuto con Sana'a, città che mai avrei creduto di visitare -ma molto sognata-, che in quel momento mi sembrava un piccolo imcubo. Il programma prevedeva la visita della città, partendo dai dintorni. Così, colui che la notte aveva lavorato alla concierge, ci ha accompagnato nel giro. A Wadi Dhar, nei pressi del Palazzo sulla Roccia, abbiamo scoperto l'esistenza del qat, droga nazionale in forma di erba, i cui abitanti ruminano in continuazione. Ma abbiamo anche cominciato a scoprire il fascino dell'architettura yemenita. Dopo finalmente, la città di Sana'a ci ha spalancato le sue braccia. I disagi della notte, scordati o quanto meno accettati: lo spettacolo incredibilmente affascinante ed unico. Quasi dieci anni di studi d'arte e non ho parole per descrivere questa città di mattoni a vista, con finestre vagamente gotiche, ognuna diversa dall'altra, sormontate tutte da vetrate diverse e colorate. Una festa disarmonica che restituisce un unicum assolutamente omogeneo ed emozionante. Tra le vie bancarelle con uomini tutti, con il loro coltello sciabolato tra la cintura, a simboleggiare la loro virilità. Le donne in niqab da cui si vedono gli occhi, in giro per le consuete faccende femminili, ma in un angolo della piazza tre donne vendevano i loro prodotti, coperte, certo, ma integralmente da un velo nero, leggero e per loro evidenteente trasparente, sormontato da un mantello colorato da varie fantasie: mai visto nulla di simile: sembravano fantasmi, nonostanti i colori del mantello. Caos e suoni, quelli tipici di una città mediorentale, ma tutto nuovo e diverso. Noi italici viaggiatori comminavamo per strada, non sentendoci per nulla minacciati, dimentichi di non essere riconoscibili con documenti certi, fino ad arrivare all'hotel Burj al Salam, gestito dall'italo yemenita Soraya. Posto incantevole che sfoggia la terrazza più alta della città, anche perchè gli ultimi quattro piani son stati tirati su ex novo, con l'avvallo dell'Unesco..... ma era un posto pulito, civile, bello e molto yemenita, dove abbiamo pranzato.

In tutto ciò i nostri referenti in Italia smuovevano il mondo per farci avere un'accomodazione più decente: noi si sperava l'hotel in centro, ma ci toccò un altro, sicuramente molto europeo per lo standard, ma senza anima. E proprio cercando quell'anima yemenita la sera ci ha visto di nuovo da Soraya per cena. Ma dopo bisognava tornare in hotel: con un'inutile cartina cercavamo di capire come uscire dal dedalo di vie e vicoletti, forse non troppo sicuri, per tornare nella piazza centrale dove prendere un taxi.

In sette, ci siamo decisi per uno di quelli grandi, a furgoncino modello. Subito ne abbiamo visto uno, ma l'uno non ha visto noi, imboccando così la rotatoria, ma i vocii e i segni di un bimbo lì vicino furono notati dall'autista, che fermandosi ingranò la retro marcia, per venire da noi, masticando il qat e non capendo neanche bene dove volevamo andare. Solo a percorso avviato abbiamo scoperto che lo sportellone laterale era fissato in modalità d'apertura.....

"Nessuno di noi salirebbe mai su un taxi che va di retromarcia su una rotatoria di Milano, guidato da un drogato e con lo sportellone laterale aperto, a mezzanotte. soprattutto senza avere con sè i propri documenti. Eppure lo stiamo facendo a Sana'a. In Yemen".

.