sabato 15 ottobre 2011

Roma, 15 ottobre 2011, piazza S. Giovanni. C'ero.

Quando oggi sono arrivata alla metro ero contenta: c'era il sole, l'aria era calda e i ragazzi erano allegri. Ho pensato che la manifestazione sarebbe riuscita bene. Perchè c'era tanto da dire, tanto da dimostrare, pacificamente indignati. Anche perchè era splendida l'idea che in tutto il mondo ci fossero manifestazioni per dire la stessa cosa, in tante lingue diverse.

All'appuntamento con Nadia e suo cugino Antonio eravamo contenti e giulivi...

Ma l'aria già da via Cavour s'è fatta pesante e brutta, con le auto bruciate. Poi a Colosseo li ho visti. I black block. Non li ho visti solo io, tanto che dalla balconata sopra la metro, gli 'spettatori' gli urlavano di andare via, di uscire dal corteo... E se il abbiamo visti noi...

Ora mi chiederai perchè non me ne sono andata, subito: se c'erano loro era ovvio che poi ci sarebbero stati guai... ma io, Nadia e Antonio, ancora speravamo che tutto potesse andare bene, che in piazza ci fosse solo festa...

Invece di questa giornata mi rimarranno incise nella memoria quattro scene.

L'arrivo in Piazza S. Giovanni, dove i primi arrivati si erano già seduti sui prati e i più divertiti suonavano i loro tamburi, mentre noi a riposare sotto gli alberi, dopo la bella scarpinata. C'era uno striscione tenuto su con palloncini colorati. Ma non ricordo polizia o carabinieri.

Poi a un certo punto il finimondo: non so perchè e per come, ma da via Emanuele Filiberto, verso via Appia, ho visto partire le cariche, che ci chiudono la via d'uscita dalla piazza. Una camionetta, senza un perchè per me apparente entra in piazza, e con l'idrante allaga tutto e tutti. Noi tre, a una ventina di metri dall'acqua, respiravamo dietro fazzoletti bagnati, per evitare l'irritazione dei lacrimogeni.

A quel punto era evidente che eravamo topi in trappola: l'unica cosa che potevamo fare era salire verso la Basilica. Lì c'erano tante altre persone, che come noi stavano tranquilli (senza cori, senza provocare, senza fare nulla se non guardare). I 'botti' dei lacrimogeni sparati riempivano le orecchie come scoppi di bombe regolarmente esplose... per noi, sopra la piccola scalinata della Basilica, la pace è durata solo per un'oretta, poi le cariche sono cominciate a partire anche tra la chiesa e l'altro edificio sacro, quello della Scala Santa. Sotto di noi una fiumana che correva dapertutto per non farsi investire della camionetta con l'idrante, che ora si muoveva tra la folla come se fosse impazzita. Per evitare di essere travolta dalla gente che scappava verso di noi, ho dato le spalle alle piazza, appoggiando le mani sul muro della cancellata che chiude la Basilica. Errore. Sento qualcosa colpirmi la spalla, lo lascio cadere e capisco che è un lacrimogeno (in realtà con sollievo: per me nell'immediato poteva anche essere qualcos'altro di peggio) : fumo arancione ovunque, io che respiro da dietro il fazzoletto bagnato, andando dalla parte opposta, verso via Sannio. Ma intuisco già che Nadia non è più con me. Ho Antonio vicino, ma lei no. Di fronte all'ingresso chiuso della chiesa ormai non c'è quasi più nessuno, solo fumo arancione. Lì ho la vera paura: è certezza: dov'è Nadia? Torno indietro, nella nebbia irritante arancione, già gli occhi mi bruciano. Con le mani alzate- perchè non so cosa c'è dietro la cortina arancione-, torno indietro chiamandola con tutto il fiato. Come in un film lei esce dalla nebbia. Abbracciandoci stretti tutti e tre, con gli occhi, la gola e il naso che bruciano, torniamo verso via Sannio, ai giardinetti al lato della Basilica.

Lì lo spazio è più aperto: la gente non è compressa, l'aria più respirabile, noi ancora increduli ci guardiamo. A un certo punto io e un ragazzo ci scontriamo, come capita quando si cammina di corsa. Entrami ci giriamo a scusarci, mentre ci guardiamo negli occhi. Nei suoi occhi ho visto i miei: sbarrati, arrossati e lacrimosi, che esprimevano l'interrogativo del perchè ci siamo trovati un lacrimogeno addosso senza aver fatto nulla per meritarcelo, se non essere lì a manifestare. Pacificamente. Noi. Ci guardiamo così, per un lungo momento, riconoscendoci come sconosciuti, ma uguali; esseri umani in quel delirio di violenza senza senso, mentre le nostre mani, che per inerzia ancora sono sbattute l'una contro l'altra, si stringono debolmente per un istante.

Poi finalmente i preti aprono i cancelli del complesso di S. Giovanni in Laterano: abbiamo una via di fuga, mentre gli occhi rossi, il naso e la gola continuano a bruciare, e io che ripeto quasi come un mantra "non preoccupatevi, ora passa". Intanto dall'altra parte ancora si sta scatenando il finimondo, che durerà per molto.

Il resto è cronaca di una fuga: infatti a quel punto la priorità è andare via seguendo una strada sicura: ma Roma era tagliata in quattro: verso Termini c'era l'inferno, idem verso piazza Tuscolo e ovviamente in piazza S. Giovanni; il corteo intanto scendeva verso Circo Massimo da via dell'Ambaradam. L'unica: andare verso la Colombo dall'interno 'libero'del quartiere di S.Giovanni. Così noi tre, con altre due ragazze incontrate per strada dopo la fuga in territorio extra vaticano (si dice così?), ci siamo avviate a piedi verso la Cristoforo Colombo, costeggiando le mura aureliane. Senza più incidenti siamo arrivate alla metro Garbatella.

L'amarezza per come sono andate le cose è immensa. Infinita: dei terroristi che meritano la galera, perchè questo sono i black block, hanno messo in ombra le motivazioni giuste e sacrosante che hanno animato due km di persone a camminare per Roma.

Ma gli scontri ci hanno delegittimati.

La grande paura di essere presa a manganellate o di aver perso Nadia nei lacrimogeni, è nulla di fronte l'amarezza di sapere che ora non siamo più credibili. E non agli occhi dei 'potenti', ma a quelli delle persone normali.

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