giovedì 26 giugno 2014

Tbilisi, la romantica in Georgia

Erano le prime luci dell’alba ad illuminare Tbilisi la prima volta che l’ho vista, ed è stato amore immediato ed incondizionato. Il giorno che sorgeva alle spalle della cattedrale di Sioni, che domina il fiume Mtkvari, presagiva d’illuminare una città incantevole: quando il sole era ormai alto ed ho guardato fuori dalla finestra del nostro hotel, ho saputo di non essermi sbagliata.

Dominata dalla rocca di Narikala, il centro storico mi ha subito ricordato Istanbul, con le sue casette in legno, i tetti a spiovente e l’atmosfera romantica scandita dai campanili delle tante chiese ortodosse della città al posto dei minareti. Realizzata nel IV secolo d. C, la rocca era famosa per la sua inaccessibilità, mentre oggi è facilmente raggiungibile da una cabinovia, o da una passeggiata che parte della zona dei bagni sulfurei, l’Ababnotubani.

Un dedalo di stradine con antichi palazzi in restauro, incontrando moschee e sinagoghe, ma anche bambini che giocano, fino a costeggiare le antiche mura, per arrivare nel cuore della rocca. Oggi completamente distrutta, ad eccezione della chiesa di San Nicola, offre divertenti sentieri da scalare (però con molta cautela), per arrivare nella cima dominata da un crocefisso.

Ma sono gli interni delle chiese che mi hanno veramente introdotto all’antica cultura georgiana, con le spesse mura, le icone di Cristi Pantocrati, ma soprattutto, la spiritualità delle donne in preghiera, con la testa coperta da foulard, in preghiera sulle loro candele, mentre monaci ortodossi, dall’aspetto severo, monitorano che religiosi e turisti tutti rispettino le regole, come nella basilica di Anchiskhati.

Eppure Tbilisi non è solamente architettura antica, ma offre sorprendenti elementi d’arte contemporanea, come il Pubblic Service Hole, progettato da Fuksas, e il Peace of Bridge, sempre di architettura italiana. Se però cerchi nelle strade della capitale georgiana richiami all’epoca sovietica, sarai deluso: nonostante le difficoltà che l’indipendenza ha necessariamente portato con sé, la maggior parte dei georgiani vuole dimenticare quegli anni grigi, e Tbilisi ne è la dimostrazione.


Ma la storia non si cancella mai del tutto, ed anzi può diventare attrazione: Gori, città natale di Stalin con il suo museo, mantiene un certo grigiore tipico, con le palazzine severe, che spesso si notano girando per la Georgia. Questo, però, è un altro post J

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mercoledì 18 giugno 2014

Tbileli e l'arte contemporanea a Tbilisi in Georgia

Un tripudio di colori, che avvolge come un’aspirale sensuale, in un abbraccio quasi musicale: questa è stata la sensazione immediata appena ho visto un suo quadro. Una sensazione di stupore e meraviglia che non provavo dalla prima visita agli Uffizi, che mi lasciava a bocca aperta, aggirandomi nella galleria d’arte come ipnotizzata dall'incanto.

Nel cuore del centro storico di Tbilisi, in Georgia, nella night street cittadina, c’è la Art Gallery Line, interessantissima galleria d’arte contemporanea, che ospita molte opere di questo incredibile pittore, Sergo Tbileli, praticamente sconosciuto in Italia.

Nei suoi quadri Tbileli, incredibilmente, riassume tutta la Storia dell’Arte: a seconda del quadro che osservi, trovi riferimenti all’arte medievale italiana, alle icone russe, le miniature ed il mosaico, al Rinascimento, al Simbolismo, a Cezànne, a Mucha, a Klimt, a Mondrian, ovviamente a Pollock, stravolgendone però il senso della casualità…. Ogni quadro è un universo che ti rapisce e ti riporta a questi richiami stilistici, riassunti in opere assolutamente e totalmente originali, mai banali o ridondanti nell’ispirazione, ma chiari omaggi… in poche parole, vere opere d’Arte Contemporanea.

Realizzati con tecnica mista su grandi tele, di una luminosità così intensa da richiamare le lacche come medium finale, di primo impatto in questi quadri si vede solo ‘un sacco di colore’, di piccole pennellate, apparentemente casuali. 

Ma fermando il tuo tempo e osservando da vicino, ti accorgi che ogni pennellata ha indiscutibilmente un suo perché, un senso architettonico d’armonia che sfiora il mistico pittorico, a costruire immagini che prendono vita strato su strato, pennellata su pennellata, e quando fai diversi passi in dietro, ad abbracciare con un unico sguardo tutta la tela, la visione di Tbileli ti appare chiara, leggibile e dolcemente prepotente, in tutta la sua potenza espressiva.

Tbileli è nato a Tbilisi nel 1958, è docente presso Tbilisi State Academy of Fine Arts, e dal 1998 è Senior Designer in "design modern", insomma, è un artista che sa esattamente di cosa sta parlando, dono raro in un mondo in cui l’arte contemporanea è spesso vittima di molti ‘maltesi’…   

Io che arrivavo in Georgia pensando di tornare innamorata solo delle chiese ortodosse, nella mia ultima serata ho scoperto che invece la sua capitale Tbilisi ha moltissimo da dire anche in fatto di arte contemporanea, che vede nel suo Centro d’Arte Contemporanea il punto nodale per incontri tra artisti, pittori e studenti.

E al viaggiatore interessato alla cultura che arriva in Georgia, consiglio di fare attenzione a ciò che lo circonda, non da ultimo alla musica: scoprirà che i legami con l’Italia vanno oltre alla pittura di Tbileli, ritrovandosi ad ascoltare arie italiane della musica pop anni 60 -e non solo - tra le vie di Tbilisi o in eleganti piazzette con bar di Batumi, sul Mar Nero.



martedì 17 giugno 2014

Tra i boschi della Georgia, la Chiesa della Trinità di Gergeti

Alle pendici del monte Kazbek, tra la Georgia e la Russia, in pieno Caucaso, cercando di raggiungere la Chiesa della Trinità di Gergeti, ho capito l'essenza del pellegrinaggio. Anche se la chiesa in questione è ortodossa.

Tutto comincia a valle, nel paesino rurale di Gergeti, a circa una ventina di chilometri dal confine russo, quando la nostra guida, proponendo le alternative per raggiungere la chiesa in cima ad una montagna di oltre 2 mila metri, 'spaccia' un impegnativo percorso trekking di cinque chilometri, per qualcosa di 'very simple, for everyone'.... Oltre la guida, in quattro decidiamo di fare la passeggiata, gli altri scelgono l'opzione della jeep su una strada molto dissestata e sterrata.

Ben presto capisco che l'impresa rischiava di superare le mie possibilità: il sentiero comincia subito con una pendenza impegnativa, approcciata dalla guida troppo velocemente: con lei ormai sparita tra gli alberi, io campionessa di salita delle scale e sollevamento buste spesa, ogni 50 metri sentivo la necessità improcrastinabile di fermarmi per riprendere fiato. Molto carinamente i miei compagni di scalata, si sono più volte offerti a turno di rimanere con me, ma non volendomi sentire un peso, e sentendomi sicura con il cellulare attivo, li ho mandati avanti... anche perché non ero molto sicura di farcela: pensavo spesso di tornare a valle.

Mi son trovata così sola nel bosco in salita, la cui pendenza era il mio unico riferimento: il sentiero, che sì era più pianeggiante, ma anche meno battuto, era senza indicazioni per la chiesa: più volte ho seguito un percorso che finiva nel nulla e spostando i rami son tornata indietro... eppure, mai mi sono spaventata, o preoccupata di avere un serio malore, considerando le forti pulsazioni: ero semplicemente nel bosco, sola con me stessa, il vento e il cinguettio d'invisibili uccellini, con l'unico obiettivo della chiesa; tornare indietro ormai era per me fuori discussione.

A circa metà del percorso, quando i sentieri si erano troppo diversificati per poter tentare la sorte, ho invece identificato la strada sterrata, decidendo di seguire quella. Camminavo e camminavo, ma non vedevo nulla che m'indicasse dove ero e quanto poteva mancare. Senza fiato, senza gambe forti ad un certo punto ho amaramente deciso: la prossima macchina che scende, mi son detta, faccio auto stop per rientrare a valle.

Ma poi, dietro quella che non sapevo essere l'ultima curva, eccola quella che ormai era la mia chiesa: ho sentito le forze tornarmi, ho ripreso un buon ritmo di camminata e finalmente, dopo che il buon Luigi mi era venuto incontro veramente preoccupato, mi sono ricongiunta al mio gruppo, che mi dava per dispersa tra i boschi, aspettandomi forse da mezzora....

La chiesa della Trinità di Gergeti, tipicamente romanica a croce greca, mi aspettava con un'icona di un Cristo Pantocrate di rara espressività, a cui mi sono rivolta in preghiera di ringraziamento. Il monaco lì in attività, mi ha poi offerto una candela: la cosa mi ha stupito: da che 'chiesa è chiesa', sei tu che fai offerta per averne una... ho pensato che l'esperienza lo aveva portato a comprendere chi saliva in auto, e chi a piedi..... ma la cosa che veramente mi ha sorpreso, è che non sentivo più nessuna stanchezza, nessun fiato corto o tachicardia: stavo benissimo.

Tanto da potermi rendere conto che oltre l'esperienza 'mistica' dell'impresa riuscita, dalla chiesa si vede un magnifico paesaggio sulla valle di Gergeti, mentre il monte innevato sembra incombere come un gigante buono.

Dei miei giorni in Georgia, questa è stata sicuramente l'esperienza più intensa e bella, che mi piacerebbe ripetere, con una cartina, le bacchette da trekking, ma sempre con i miei tempi!

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domenica 27 aprile 2014

Roncalli e Wojtyla Santi: il pomeriggio prima la Canonizzazione

C'era molta gente in piazza S.Pietro, ieri, nel pomeriggio prima la canonizzazione di Roncalli e Wojtyla, e il clima era di pacifica festa, nonostante le minacciose nuvole nere che si avvicinavano.

Un gran vociare di Babele ovunque, ma sereno e pacato, con sottofondo di chitarre e canti, ma anche di tamburi d'Africa. E' stato bello camminare tra loro, scambiando sorrisi con sconosciuti e dando qualche informazione in inglese o in italiano a gente di lingua ispanica che, 'tranquila, habla en italiano: es como espanol'... la consapevolezza di essere lì tutti per lo stesso motivo -più o meno-, rendeva le cose estremamente semplici: quasi commovente: servono proprio due quasi santi a far sentire l'empatia tra sconosciuti.

La maggior parte delle persone si era già accampata, sperando di aver già conquistato lo spazio per la cerimonia dell'indomani: i carabinieri hanno avuto il loro gran bel da fare nel far capire a tutti i pellegrini che la piazza era ormai chiusa ed andava sgombrata....

Poi le nuvole nere hanno finito di coprire il cielo e alla fine l'acqua è venuta giù, ma con calma, anch'essa pacata, seppur con qualche tuono. Non avevo l'ombrello, così ho coperto la testa con la giacca e mi sono avviata; mentre uscivo dalla piazza mi ha colpito la gran quantità di persone con tappetino e sacco a pelo: i pellegrini avrebbero passato la notte letteralmente in strada, probabilmente sotto la pioggia. Ho ammirato il loro coraggio, e la fede, per una fatica così intensa: la maggior parte erano sì ragazzi, ma non credere, anche tanti adulti. Mi sono sorpresa dispiaciuta nel non poter passare la notte di veglia con loro... era come se in territorio vaticano regnasse veramente la pace e la fratellanza, o forse banale rispetto del vicino...

Oltrepassare il Tevere è stato rientrare nella realtà romana, che non pareva aver goduto troppo dell'effetto canonizzazione: ho chiesto ad un vigile dove passavano i bus: 'su corso Vittorio' mi ha risposto. Per fortuna conosco bene questa zona di Roma, così ho proseguito verso la fermata del 40 o 64 per Termini, ma -ovviamente- era affollatissima: decido di continuare a piedi per oltre un km, andando a prendere il 30 su corso Rinascimento. In pratica decidevo di uscire dal circuito strettamente pellegrino, ma di sicuro più fruibile.

Arrivata alla fermata scopro con stupore che in quella stessa strada passava non solo il 'mio' 30, ma anche il 40, il 64 e le altre linee deviate, ed erano tutti, incredibilmente, vuoti: ho pensato a tutte le persone che avevano avuto la mia stessa indicazione, ma che non conoscono Roma come me, e stanche morte stavano aspettando invano: pessima sensazione.

Pessima sensazione che non ha rovinato un pomeriggio diverso, intenso e di preludio al vero evento storico di oggi.

giovedì 28 novembre 2013

Scalando la Grande Muraglia

Ero infreddolita e in dormiveglia, sul nostro pulmino che da Pechino ci portava alla Grande Muraglia: non pensavo che l'avremmo vista già dall'autostrada.... ma eccola lì, la Sovrana d'Oriente, superba ed imponente, che dava piccoli accenni della sua grandezza.

Un bel venticello freddo freddo aveva pulito il cielo, sicché la Grande Muraglia non si perdeva dopo pochi metri nella nebbiolina montana, lasciando una bella visibilità. Arrampicata sui monti, morbida e sinuosa proprio come un drago cinese, dall'ingresso del 'punto zero', non sembrava così impervia: con il naso gelato all'insù, ipotizzavo dove sarei potuta arrivare. Ipotizzavo.

Infatti già dai primi scalini stavo cominciando a capire che forse la salita era in realtà una scalata, ovvero un'impresa, per me che l'unico sport che pratico è il sollevamento della spesa, alternato alla battitura della tastiera...Eppure, mentre sentivo le gambe rimproverarmi acidamente per lo sforzo che stavo imponendo loro, riuscivo a guardarmi intorno e pensare: 'Cavolo sono a spasso sulla Grande Muraglia!'

Con i miei compagni di scalata abbiamo presto preso ritmi diversi, trovandoci nei rari piani dov'era possibile riposare. Proprio su uno di questi ho fatto quello che non dovevo fare: bere una bella sorsata d'acqua a temperatura ambiente, cioè gelida, mentre ero felicemente accaldata sotto strati di felpe e piumino. Così dissetata mi sono avventurata su un tratto quasi in verticale, non di scalini, ma di ripida salita.

Aiutata dal passamano ad altezza cinese (...), più di una volta ho pensato che conveniva salire tipo Spiderman, come alcuni cinesi giocando si facevano fotografare, che però, con le loro spiritose pose plastiche, occupavano spazio, spezzando il ritmo di noi scalatori a seguire...

Dal basso vedevo Laura e Giuseppe che mi aspettavano, lei soprattutto mi guardava preoccupata: pare sia arrivata da loro bianca come un cencio. In effetti avevo un certo desiderio di sporgermi dai merli e rimettere l'anima a Dio, sebbene non capissi perché: Giuseppe sentita della bevuta fredda mi ha illustrato la quasi congestione che mi sono quasi procurata....

Riposata e con nuovo colorito, si decide di tornare al 'punto zero', anche perché si stava facendo orario di rientro. E a quel punto vedo aprirsi sotto di me piccoli baratri di mattoni e solo con quella prospettiva mi sono veramente resa conto di quanto sia ripida la Grande Muraglia: impossibile non chiedersi come abbiano fatto i piccoli cinesi a salire e scendere con armatura e armi, magari correndo, magari con neve o ghiaccio a rendere tutto scivoloso...

Insomma, nonostante la mia incauta bevuta, e l'acido lattico che già sentivo nelle gambe (sconfitto con un po stretching nel corso della giornata, come suggeritomi dall'altra compagna, Marisa), la scalata della Grande Muraglia è stata un'esperienza intensa ed emozionante, mentre le montagne asiatiche chiudono un orizzonte merlettato dalla Sovrana d'Oriente.

giovedì 21 novembre 2013

Due Giorni a Pechino

A ridere, io e Laura a ridere forte, per strada nel cuore di Pechino, mentre Giuseppe, sconcertato, guardava andar via il terzo taxi che si era rifiutato di riportarci in hotel.
Eravamo all'uscita del hutong commerciale, sul lago Houhai di Pechino, dove i vicoletti caratteristici della città sono stati trasformati in negozietti turistici; eravamo liberi dalla guida, che alla fine si era rassegnata a lasciarci andare per la nostra curiosità, non di shopping, ma di vicoletti. 
Giuseppe era già stato a Pechino, e voleva rivedere gli hutong caratteristici, con le casette tipiche cinesi, le loro botteghe, tutto ammucchiato l'uno sull'altro, mentre io e Laura, la prima volta a Pechino, ne eravamo curiose... Siamo state accontentate in parte: in quell'area commerciale, anche i vicoletti che non lo sono stanno per esserlo, mentre dove per il momento i negozi turistici non arriveranno, la fredda sera di domenica ci accompagnava nell'hutong che ricordava i nostri borghi medievali, tra gatti sui tetti (ebbene sì, ci sono gatti a Pechino: non se li mangiano, non più...) e il suono dei nostri passi che ci accompagnava, rarissimi passanti cinesi, mentre tra una casetta e l'altra strettissimi vicoli che scomparivano nel buio: le botteghe assenti, forse a riposo settimanale o forse in quell'area soppresse completamente... forte la sensazione, quasi certezza, che i veri hutong siano ben altro.

Ma il tempo incalzava, e come Cenerentola, dovevamo tornare in hotel. Tranquilli ci fermiamo nella strada principale, fuori l'hutong, e vedendo molti taxi passare, eravamo sereni: bisognava individuare i taxi liberi. Dopo poco ho capito: un doppio ideogramma rosso al centro del cruscotto è il segnale, per farli fermare il gesto internazionale del braccio svolazzante. Ma... presentata la carta dell'hotel, scritta in cinese, ben tre taxisti ci hanno rifiutato perché non conoscevano la strada.Soli a Pechino, apparentemente impossibilitati a tornare in hotel: io e Laura ridevamo... alla fine abbiamo trovato un autista intraprendente, che ha chiamato in hotel per farsi dire la strada e ci ha portati in venti minuti. Spesa? due euro, forse.

Sicuramente questo è stato l'episodio per cui ricorderò Pechino, che devo dire, mi è piaciuta più di Shanghai.

Anche qui grattacieli enormi, ma più creativi di quelli di Shanghai, alternati a palazzine 'normali', in cui, m'è parso, ma forse sbaglio, gli spazi sono meno compressi: mi è sembrato ci fosse più 'aria', ma forse solo perché il tempo è stato particolarmente clemente: un venticello bello freddo ci ha accompagnato nei giorni pechinesi, liberando il cielo da nuvole e smog, mostrando una Pechino solare e graziosa.

Ma per quanto bello possa essere un cielo terso, la gigantesca piazza di Tien an men fa una certa impressione, soprattutto se c'è in sfilata l'esercito.... e poco importa che dopo attraversata sei dentro l'imponente Città Proibita: l'aspetto marziale è forte, i cinesi maleducati -quando sono in massa- in visita troppi, per goderti sul serio la bellezza dell'architettura cinese che si apre alla fine della piazza. Eppure, entrando nel vecchio Tempio degli Antenati, sono rimasta letteralmente a bocca aperta: un tripudio di maestria ebanista unita all'ingegneria architettonica hanno prodotto il soffitto ligneo più bello che abbia mai visto... 

A Pechino naturalmente c'è molto altro da vedere, altri templi e strade di grattacieli con le più note griffe di moda, c'è il Palazzo d'Estate per una gradevole passeggiata nel verde, ci sono i negozietti di falso nascosti in un parcheggio tre pieni sotto la strada, visitato di notte, in cui ti senti sicuro solo perché ti porta la guida... Una guida che sicuramente ci ha regalato ottimi pasti, portandoci in ristoranti di ottima qualità, ma non turistici.

E poi, poco lontano, c'è la Grande Muraglia. Ma questo è un altro post...

domenica 29 settembre 2013

C'Era una Volta la Galleria Nazionale d'Arte Moderna

Era bella la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Entravi e t'immergevi nel tempo: passeggiare nelle sale era come passeggiare nel tempo, accompagnato dal graduale cambio di sensibilità artistica, stile pittorico e narrazioni sociali. Ti accoglievano gli ultimi scampoli del classicismo settecentesco, e poi pian piano  l'ottocento italiano andava a sgranarsi nelle varie declinazioni che prendevano spunto dalle novità artistiche, storiche e scientifiche dell'epoca.

Così d'improvviso ti trovavi circondato dal simbolismo del Divisionismo di Previati, o letteralmente intimidito dalle tele monumentali di Fattori, fino a conoscere le opere di un Balla ante Futurista, o di un Boccioni innamorato dei colori delle periferie cittadine; ma la cosa sembrava del tutto naturale, non parevano esserci fratture... poi salivi le scale per andare al secondo piano e lì sì, c'era la frattura, ma anche quella artistica, necessaria: eri nella sala futurista, nel cuore dell'Avanguardia che più di tutte volle rompere con la tradizione tutta dell'arte. Secondo piano che continuava con l'esposizione di quello che ne seguì, senza che sto qui a raccontare di tutte le correnti del Novecento, piene di idee, ripensamenti, innovazioni e provocazioni.

Era bella così la Gnam, fruibile anche a chi di arte ne capiva poco e niente, chiara e snella da illustrare a chi desidera lezioni in loco: in ogni sala affrontavi cronologicamente i singoli passaggi e la spiegazione, alla fine della visita, risultava chiara ed omogenea. Ed era una bella soddisfazione vedere che poi le idee erano più chiare. Perché l'arte moderna è un rebus per tantissima gente, ovvero per tutte quelle persone che non hanno una spiccata curiosità che li abbia portati ad approfondire l'arte, al di là del percorso scolastico -che in Italia è così colpevolmente limitato -.

Se prima, di fatto la Gnam era come un libro illustrato, 'leggibile' da tutti, ora viene sottolineato il concetto che o sai cosa sei venuto a vedere, oppure il senso dell'allestimento museale  è del tutto enigmistico: nella sala de 'La Guerra' troviamo in mostra opere del macchiaiolo Fattori a mezzo metro dal futurista Dottori (attendo fiduciosa spiegazione sulla scelta della logistica espositiva).

Questa la storia della risistemazione, per come l'ho capita : per festeggiare il centenario della Galleria, un paio d'anni fa, la soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli, e Federico Lardera stravolgono il vetusto concept della 'vecchia' Gnam, decidendo, con vero colpo di genio, d'ispirarsi alle gallerie internazionali d' Arte Moderna, con un occhio particolare al Moma di New York, e realizzando delle sale tematiche.

Sale tematiche che quindi superano il vecchio concetto di progressione cronologica, e tenute insieme da concetti tipo 'La questione sociale', 'L'eroe e il superuomo', o ancora 'Fra avanguardia e tradizione'... tutto questo però vorrebbe che ci fosse almeno uno di due presupposti essenziali: sapere di cosa si sta parlando, o trovare un vero ed esaustivo pannello informativo all'ingresso di ogni sala.  Questo, ovviamente, se si vuole rendere autonomi i visitatori... ma tant'è niente pannelli veri ed esaustivi, sicuramente a favore di una fiducia sconfinata nella cultura dell'italico medio.

Non solo: appena entri ti trovi catapultato in una ampia zona dove trovano collocazione, tra le altre, alcune opere controverse di Burri e Fontana. Ovviamente i miei 'accompagnati' hanno avuto un immediato senso di rifiuto: come fai a spiegargli il Concetto Spaziale di Burri, se devono ancora vedere Pellizza da Volpedo? Che per carità, fa bella mostra di sé in chiave prospettiva nella nuova economia di allestimento... ma...

Morale della favola: abbiamo perso un'altra occasione per rendere la cultura accessibile a tutti e non solo ad una elite.
Complimenti.